Raccolta di articoli sulla vita e le opere di don Eugenio Bussa.
maggio 2022
Giovedì 13 gennaio 2022
Mercoledì 10 giugno 2009
Mattia Losi
Mercoledi 25 gennaio 2006
Le cifre. 20.757 Giusti riconosciuti da Yad Vashem, solo 371 sono connazionali. Eppure oltre l'80% dei 43.000 ebrei italiani è sfuggito alla persecuzione, per un totale di 7.700-7.900 vittime contro 35.000 salvati, di cui 6.500 scappati al Sud o in Svizzera e 28.600 nascosti da privati.
I giusti dimenticati. Milano
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Don Bussa celò
i ragazzi in oratorio.
Un prete ambrosiano di trincea. Che comincia ad essere conosciuto anche grazie a ad un sito tutto dedicato alla sua memoria. Don Eugenio Bussa non è solo l’indimenticabile sacerdote dell’Isola Garibaldi di Milano, per mezzo secolo al servizio dell’educazione di migliaia di ragazzi e di giovani – almeno due generazioni passate attraverso l’oratorio Patronato sant’Antonio – , ma anche un Giusto. Durante la Seconda guerra mondiale si è prodigato per salvare parecchi ragazzi ebrei, sottraendoli ai rastrellamenti nazisti.
Di lui il cardinale Carlo Maria Martini ha scritto: «Quando uomini così grandi ci passano accanto non possiamo più vivere come se ciò non fosse accaduto: essi sono un dono e un richiamo all’imitazione e al dono di noi stessi per il bene dei fratelli». Prete e uomo dalla carità praticata con discrezione e riservatezza, votato al conforto e all’aiuto spirituale e materiale, ha rischiato più volte la vita nascondendo nei suoi ambienti piccoli ebrei inseguiti dalle feroci persecuzioni razziali.
Mercoledi 22 gennaio 2003
Il segretario comunale rischiò lavoro e vita per aiutare una famiglia.
«Facciamo così: io esco un attimo, lascio qui, sul tavolo, queste quattro carte di identità. Quando torno penso che non ci saranno più». Giacomo Bassi, segretario comunale a Canegrate è nel suo ufficio e ha di fronte la famiglia Contente, papà, mamma, tre figli, Abramo, Sara e Nissim, 17 anni. Col nuovo nome fittizio diventeranno i De Martino. Nissim oggi di anni ne ha 68 e del suo salvataggio e dei tremendi momenti vissuti dopo l'8 settembre ricorda ogni cosa. «Gli dicemmo tutto. Chi eravamo, la nostra disperazione per la fallita fuga in Svizzera. Lui mise a repentaglio il suo lavoro e la sua vita per aiutarci, ospitandoci nella scuola del paese per 18 mesi, fornendoci tessere annonarie per sfamarci». Quello di Giacomo Bassi è uno dei 32 nomi emersi dall'archivio - curato da Luciana Laudi - del Centro di Documentazione Ebraica (Cdec) di Milano e oggi esposti a Palazzo Reale. Insieme a Bassi altri milanesi sono «Giusti fra le Nazioni». «Vale a dire persone che hanno messo a r epentaglio la propria vita - segnalati dagli stessi salvati che presso un notaio documentano l' operato del salvatore - e poi riconosciuti dall' Istituto Yad Vashem di Gerusalemme. Sono storie di persone qualsiasi che hanno aiutato in modi diversi gl i ebrei perseguitati» spiega Liliana Picciotto Fargion, storica del Centro. Gli altri, altrettanto «Giusti» sono ufficialmente «Benemeriti nell' Opera di Soccorso». Uno di questi è Paolo Pellizzola, soccorritore della famiglia Lopez. Siamo nell'ottobre' 43, Milano è sotto l' angoscia del suo primo bombardamento. «La nostra casa in piazza Ferravilla confinava con una postazione della Wehrmacht - racconta Piera Pellizzola, figlia di Paolo -. Sì, si può dire che gliela facevamo proprio sotto il n aso. In casa abbiamo ospitato persone diverse, rifugiati politici, gente evasa da San Vittore e quando papà ha incontrato Sabatino Lopez ha invitato anche lui e la moglie». «Eravamo sfollati ad Arona, all'Albergo Italia - conferma il figlio Guido Lopez. Io sono scappato in Svizzera, loro sono rientrati a Milano, si sono barricati in casa fino a quando il portinaio li ha avvisati che i tedeschi li stavano cercando. Poi, ecco il "miracolo", l' intervento della famiglia Pellizzola». Anche la sto ria di Don Eugenio Bussa, sacerdote all' Isola (riconosciuto «Giusto» nel 1990, un bosco di 5.000 alberi a Yatir, nel Neghev, l' intestazione del cavalcavia che attraversa la Stazione Garibaldi) racconta del riparo ottenuto da sette bimbi ebrei - a cui furono dati nomi cattolici - nella colonia di Serina in Val Brembana. «Non lo sapeva neanche il direttore, Vismara, anche se forse lo intuiva visto che i piccoli non seguivano la liturgia. Ma ha taciuto anche lui» racconta Armando Forno, presidente dell'Associazione intitolata al sacerdote che «appena in tempo, è morto un anno dopo» ha rintracciato in Israele Alberto Fazio, uno dei piccoli.
Margherita Mezan
Venerdi 01 febbraio 2002
L'esempio di don Bussa In questi giorni, legati alla memoria dell'Olocausto, segnalo che il 29 gennaio è ricorso il 25° anniversario della morte di don Eugenio Bussa, che operò per 49 anni al quartiere Isola. Anch'egli è stato nominato Giusto dallo Stato d'Israele per aver salvato molti bambini ebrei durante l'ultima guerra mondiale. Il Comune gli ha dedicato il cavalcavia che attraversa la stazione di Porta Garibaldi e ha concesso che la sua salma fosse tumulata nella chiesa del Sacro Volto, centro della sua attività sacerdotale. Per chi l' ha conosciuto rimane una guida sicura. I più che non lo conobbero aggiungano il suo nome alla lista dei migliori protagonisti della Storia, che fortunatamente si allunga giorno dopo giorno.
Paolo Latuati
Domenica 24 marzo 1996
Domani alle 16.30 verrà inaugurato dal sindaco Marco Formentini il cavalcavia nei pressi della stazione Garibaldi, intitolato a don Eugenio Bussa. La nuova struttura risolverà definitivamente i problemi di transito da via Quadrio: qualche ciclista si è già preso la briga di fare un sopralluogo sul nuovo cavalcavia. La speranza è che gli ingorghi in zona restino soltanto un brutto ricordo.
Figura carismatica e polivalente, ha saputo attrarre a sé molte generazioni di giovani, ai quali ha insegnato la fede, lo stile di vita e la passione per tutto ciò che è giusto, vero e bello.
Pur essendo già passati tanti anni, la sua figura è ancora presente nel cuore e nella mente di tanti - ormai non più giovani che si sentono ancora oggi quasi guidati dalle sue parole e dal suo esempio. Molti ancora ritornano sulla sua tomba, nella chiesa parrocchiale, per pregarlo e quasi per sentire la voce che indica la strada.
Chi era don Eugenio?
Nasce all Isola. in via Confalonieri 11, il 3 settembre 1904. Da piccolo frequenta l’oratorio del patronato S. Antonio, fondato nel 1903 per “dare vitto, alloggio e assistenza religiosa e civile ai giovanetti operai privi di appoggio a Milano perché orfani o aventi famiglia lontana”. Ordinato sacerdote nel 1928, diventa nello stesso anno vice-direttore del pensionato; nel 1937 ne diventa direttore e tale resterà fino al 1977.
Nei quarantanove anni vissuti al patronato, don Eugenio concepisce il sacerdozio come servizio totale e senza ricompensa. Tutta la sua vita è spesa per le migliaia di giovani (almeno tre generazioni) che in lui trovano il sacerdote, l’educatore, il maestro di vita, il papà: dona grandi speranze e certezze incrollabili; molti non l’abbandonano più e, fatti uomini, tornano a lui con i figli.
Fedele al suo motto - “Sempre sulla breccia”, si fa trovare presente a dare testimonianza con il suo esempio nelle responsabilità più grandi, nelle situazioni più delicate o disperate, nelle attività più impegnative, nei lavori più impensati, umili e faticosi. Vive con verità e intensità il proprio tempo, fino a pagare di persona: l’8 novembre 1944, a seguito dell’attività svolta a favore degli ebrei (ha accolto alcuni ragazzi nella colonia di Senna) e dei perseguitati politici, don Eugenio è arrestato dai brigatisti della “Muti”, ma per la reazione degli abitanti dell’Isola e il personale intervento del cardinale Schuster viene presto liberato.
Per queste sue opere don Eugenio verrà anche insignito della Medaglia dei Giusti dall’istituto Yad Vashen; un albero a lui intitolato sarà piantato sul Viale dei Giusti a Gerusalemme.
Il suo impegno per i giovani.
Sempre per il bene dei ragazzi e dei giovani acquista una casa al passo Gavia (1948) e avrà in dono una villa a Marina di Massa (1953), così che anche durante l’estate i ragazzi possano svolgere un’esperienza particolare di fraternità, di svago e di crescita spirituale.
Ecco come si esprime oggi un ragazzo di allora: “Per tutti coloro che hanno vissuto accanto a lui viene da dire: don Eugenio era un prete unico e irripetibile. Un prete che ha saputo coniugare la severità e la linea dura con l’affetto e l’amore. Un prete che nelle difficoltà ti dava certezze, un prete che ci ha insegnato a credere nella Provvidenza: lui stesso per centinaia di ragazzi e famiglie fu mano lunga della Provvidenza. Un prete scomodo, perché esprimeva il suo pensiero in modo schietto, alle volte poco diplomatico. Un prete vicino ai poveri, ai perseguita ti, ai bisognosi. Non un prete da grandi opere nazionali, non amava i congressi, era il prete dell’Isola Garibaldi. Tutti, di qualsiasi estrazione politica fossero, portavano i loro figli da Don Eugenio affinché li crescesse ed educasse cristianamente. Scaricavano su di lui tanti problemi familiari e lui, ricordo bene, battendo la mano destra sul petto, diceva:
“Questo è un problema di don Eugenio, lo risolveremo insieme”. Di quanti bambini è stato
padre e di quanti la madre? Molti, forse troppi! Capace di clamorosi ceffoni, come di dolci carezze. Un carattere forte, difficile da contrastare: era più facile ubbidire che discutere. Era un prete capace di tutto. Ti insegnava a recitare, a giocare a pallacanestro o a calcio, oppure a scopa o tresette, se faceva il prestigiatore ti incantava. Noi, da bambini, si pensava fosse qualcosa in più di un uomo fattosi prete. Ecco perché è unico e irripetibile”. Il cardinale Martini, in occasione della traslazione della salma di don Eugenio da Musocco alla chiesa del Sacro Volto, ebbe a scrivere: ”…Quando uomini cosi grandi ci passano accanto non possiamo più vivere come se ciò non fosse accaduto: essi sono un dono e un richiamo all’imitazione e al dono di noi stessi per il bene dei fratelli...».
don Mauro Radice